La quercia nella ghianda

Pubblicato da gestione il

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo  riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio[1].

In questi tempi di continui cambiamenti diventa infatti molto importante comprendere che senza consapevolezza e senza un cammino interiore profondo, è molto difficile trovare un senso ad un mondo che sembra solo correre od andare a sbattere verso una direzione sconosciuta.

«Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto»[2].

Io mi chiedo dove andremo a finire,” aveva detto un giorno. “Parla del tramonto dell’occidente?” “Tramonta? Dopotutto è il suo mestiere, non dice?” [3]

L’accademia e la  metafora dello zaino (se la vita è un viaggio, allora è decisamente meglio viaggiare leggeri)[4]

Chris McCandless, conosciuto anche come Alex Supertramp, lo sfortunato ragazzo divenuto inconsapevole protagonista di “Into the wild”, sembra che una volta abbia scritto sul suo diario: “un uomo dovrebbe possedere solo ciò che riesce a trasportare in uno zaino a passo di corsa“. Preparare uno zaino è un’arte sottile ma qui non vogliamo parlare di bagaglio, bensì di vita. Perché in fondo, non trasportiamo noi stessi dei grossi bagagli, costantemente addosso, sulle nostre spalle? Noi tutti procediamo lungo le strade delle nostre esistenze, raccogliendo nel frattempo oggetti, sensazioni, ricordi, progetti, emozioni, idee, passioni, sentimenti, aspettative, relazioni, voci, timori. Accumuliamo dentro e fuori di noi cose su cose, gettandone via poche e solo raramente, e dopo anni magari non ci rendiamo nemmeno conto di quanto “il nostro zaino” sia diventato pesante e ingombrante, di quanto ci ostacoli il cammino, forse fino al punto da schiacciarci al terreno e impedirci di proseguire. Allora fermarsi un momento, fare il punto della situazione, per controllare  il nostro bagaglio diventa fondamentale. La scuola può diventare un mezzo  per scoprire quali pesi inutili scaricare dal nostro zaino di viaggio ideale ed tenere solo ciò che abbiamo di leggero, utile  e importante, lasciando tanto posto alle cose nuove che sicuramente verranno, come ad esempio:

  • La prudenza, ma non le paure.
  • L’apertura mentale, non il pregiudizio.
  • L’entusiasmo, ma non le illusioni.
  • Il coraggio, non l’incoscienza.
  • I desideri, la passione e tutti i nostri sogni, lasciando i pesi del passato a casa.
  • Le nostre convinzioni, le nostre idee e i nostri progetti, non le aspettative altrui.
  • Il silenzio, non il rumore.
  • L’amore, non la diffidenza.

La mission dell’accademia: vedere la quercia nella ghianda

La teoria della ghianda di James Hillman[5] dice che chiunque è venuto al mondo con un’immagine che ci definisce. E questa forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria della ghianda sostiene che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di potere essere vissuta. Noi nasciamo con un carattere; che è dato; che è un dono, come nelle fiabe dalle fate madrine al momento della nascita. “Se sei una ghianda non potrai che diventare una quercia, un giorno. Per quanto tu tenti di deviare il corso degli eventi o di forzare la tua natura, il tuo destino è di diventare una quercia. Niente altro che una quercia. E’ il tuo daimon”. Ciascuno di noi è unico, ciascuno di noi ha un talento, scoprirlo e nutrirlo con l’applicazione è ciò che dà un senso al nostro essere qui e ciò da cui dipende la nostra felicità e il nostro equilibrio.

La scuola che immagino non ha la pretesa di indicare la ragione per cui vivere o  il significato della vita in generale ma vuole rivolgersi piuttosto alla sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia.

Riempire i contorni allora diventa un arte, un arte di vivere. La vita contiene tutti i colori con cui realizzare le nostre opere. Il bianco, il nero, i colori primari e tutte le varie combinazioni, gradazioni, combinazioni. Sta a noi scegliere come vogliamo colorare la nostra esistenza. A volte questo significa utilizzare un colore che non ci piace o mescolarlo ad altri colori per ottenere l’effetto desiderato. A volte quella gradazione che serve non è disponibile in quel preciso momento. Compito della scuola potrebbe essere allora aiutare a scoprire che spesso le cose si possono realizzare anche con modalità diverse ed  inaspettate, liberando quella somma di passione e creatività che è dentro ognuno di noi.


[1] Italo Calvino Le città invisibili

[2] Borges L’Artefice 1960

[3] Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani, 1988, p. 54.

[4] Tratto  liberamente da www.roberto-crosio.net/1_intertestualita/PRES_VIAGGIO.htm

[5] J.Hillman Il codice dell’anima

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